Bruxelles: Una testimonianza diretta dal pieno degli attentati al quartiere europeo

fraternita in coro
23.05.2016

“Il Dialogo e la fraternità sono le uniche risposte ad atti tanto folli”

Tomaso Comazzi si occupa della comunicazione di New Humanity ed è attualmente nella capitale belga per un tirocinio.
Riportiamo la sua personale esperienza legata a quanto accaduto ieri a Bruxelles ed in particolare alla stazione di Maelbek, proprio a pochi passi da dove lavora.

In foto, il concerto interreligioso “Fraternità in coro” organizzato meno di un mese fa a Bruxelles da associazioni cristiane e islamiche

Prima d’ora, non mi era mai capitato prima di trovarmi così vicino al luogo di un’attentato. Siamo ormai tutti abituati a vederci passare davanti disastri e catastrofi durante i vari notiziari quotidiani, ma la sensazione di essere passati davanti a quella fermata della metro pochi minuti prima, di sapere che è tutto così vicino e di non sapere di preciso cosa fare e come comportarsi è tutt’altra cosa.

Credo fermamente che un mondo di pace è possibile. Con il mio impegno con l’ONG New Humanity, ma soprattutto attraverso le piccole azioni quotidiane cerco di agire con quello spirito di fraternità che è espresso anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Eppure man mano che le notizie arrivavano e gli ululati delle sirene si facevano più insistenti, mi sono trovato spiazzato. D’accordo, tutto era così vicino, ma ugualmente io intanto che potevo farci? Rimanere a rispondere ai tantissimi messaggi di amici e parenti che chiedevano notizie? Scendere in strada e andare ad aiutare chissà chi e in che modo? Continuare a lavorare come nulla fosse? Una situazione surreale nelle quale mi trovato impotente e disorientato.

rue de la loi brusselsMi veniva anche da interrogarmi sul senso di tutto ciò. Sui motivi che potevano spingere alcuni giovani come me ad odiare così tanto da essere pronti a sacrificare le loro vite pur di dare la morte a tanti passeggeri indifesi colti a caso nel momento di viaggiare insieme pigiati su un convoglio metropolitano. Mi domandavo che colpa avrei avuto io per morire se fossi stato lì insieme a loro. Domande alle quali tutte le teorie apprese durante l’università in scienze politiche non riuscivano a trovare una risposta soddisfacente.

Ad illuminarmi è stato il ricordo della sera precedente, trascorsa insieme a diversi giovani che si impegnano anch’essi nella promozione della fraternità, durante la quale avevamo rinnovato la promessa di essere insieme strumenti di fraternità e di dialogo laddove viviamo.
Provando a mettere da parte il disorientamento, ho capito che se in quei momenti stavo vivendo (quasi) sulla mia pelle la guerra, a maggior ragione dovevo essere io in prima persona un artefice di pace ed ho cercato di darmi da fare, ad iniziare da quanti avevo accanto in quel momento.

Colleghi, amici, conoscenti,…nonostante lo sconcerto ed il terrore, mi ha colpito rendermi conto piano piano di non essere l’unico a pensarla così. Ognuno a modo suo, nessuno trovava parole di odio per quanto accaduto, ma era convinto invece che fosse la via del dialogo l’unica strada posibile per rispondere ad atti tanto folli. Ho trovato vere come non mai quelle parole pronunciate da Chiara Lubich in occasione del conferimento del Premio UNESCO per l’Educazione e la Pace, il 17 dicembre 1996:

«Chiunque desideri oggi superare le montagne dell’odio e della violenza, si trova di fronte a un compito pesante ed immenso.